La potenza nella debolezza (1 Corinzi 1:18-2:5)

Introduzione

Questo brano mi fa venire in mente un esempio calcistico del passato. Alcuni anni fa una squadra inglese da poco promossa nella prima serie, nonostante i pochi mezzi a disposizione e giocatori di seconda fascia, riuscì a vincere il campionato battendo squadre molto più ricche e con giocatori molto più forti. Questo è stato possibile anche grazie a un allenatore italiano che riuscì a motivarli e a trascinarli alla vittoria. Come in quel caso anche noi sperimentiamo fragilità e limiti che rischiano di compromettere la nostra testimonianza. Ma questo testo ci dice che è proprio nella nostra debolezza che possiamo sperimentare la potenza di Dio e proclamare il suo regno a un mondo complicato come il nostro.  

Paolo considera tre debolezze per sviluppare il suo tema:

In primo luogo

 
  1. La potenza di Dio si manifesta nella debolezza del vangelo.

    Come ai tempi di Paolo ognuno di noi si fa spesso due domande nella sua interazione con il mondo circostante: la prima è “COSA DOBBIAMO DIRE QUANDO PARLIAMO ALLE PERSONE?” La seconda è “COME DOBBIAMO DIRLO?”. La prima domanda riguarda il messaggio che dobbiamo comunicare, mentre la seconda riguarda il modo attraverso cui dobbiamo comunicare il messaggio.

    Nel primo secolo nella città di Corinto (ma non solo) il “Cosa comunicare” si basava sulla filosofia e il “Come comunicare” era dettato dalle regole della retorica. Diversi credenti nella chiesa di Corinto erano molto influenzati dalla cultura greca e ritenevano che il vangelo dovesse essere presentato in una forma accattivante, elegante e ricercata. Paolo dissentiva decisamente e si rifiutava di predicare “con sapienza di parole”, poiché lui non metteva al centro la forma, ma la sostanza della croce perché affermava che “essa è la sapienza e la potenza di Dio per la salvezza di coloro che credono”.

    Il v. 18 afferma che il messaggio della croce è “pazzia per quelli che lo rifiutano, ma per noi che siamo salvati per grazia è la potenza di Dio”. Paolo trova manforte dalla Scrittura per sostenere la sua tesi, e nel v. 21 ribadisce che “gli uomini non hanno conosciuto Dio mediante la propria sapienza, ma è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la pazzia della croce”. Paolo sottolinea che dove il mondo ha fallito, Dio è intervenuto per salvare coloro che credono, prendendo l’iniziativa mediante la debolezza della croce e del Vangelo che “era scandalo per gli Ebrei e pazzia per i Greci”. Infatti, Paolo ci dice che gli Ebrei erano attratti dalla potenza e dal potere dei miracoli (22a) e i Greci erano affascinati dalla sapienza e dalla forma (22b). Questi erano gli idoli di quel tempo, ma anche se oggi gli idoli hanno altri nomi, ognuno cerca di immaginarsi un dio secondo le proprie visioni del mondo e che soddisfi le proprie aspettative umane.

    Come dobbiamo quindi interagire con questo mondo edonista, egocentrico e indifferente?

    Come allora anche oggi la soluzione non sta nell’assecondare il mondo nelle proprie idolatrie e aspettative, ma piuttosto predicare la pazzia della croce, come Paolo afferma: “Ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i Greci è pazzia” (v. 23), poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini (v. 25). DOBBIAMO QUINDI PREDICARE IL “TOTA SCRITTURA” FATTO DI (CREAZIONE-CADUTA-REDENZIONE).

    In secondo luogo  

 

2. La potenza di Dio si manifesta attraverso la nostra debolezza.

Paolo invita i Corinzi a riflettere su loro stessi e sulle loro debolezze: “Fratelli, guardate la vostra vocazione”. Pensate a cosa eravate quando siete stati chiamati (v. 26a), e ricordate che “non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti né molti nobili” (v. 26b). Infatti, al contrario: “Dio ha scelto le cose deboli del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono per ridurre al niente le cose che sono” (vv. 27-28).

Perché Dio ha scelto i pazzi, i deboli e gli umili di questo mondo?

Perché nessuno potesse vantarsi davanti a Dio (v. 29). Poiché il merito della salvezza appartiene soltanto a Dio: “E’ grazie a Dio che voi siete in Cristo Gesù” (v. 30a). E’ Dio che ci ha uniti a Cristo: “E’ da Dio che Cristo è stato fatto per noi sapienza e salvezza, santità e redenzione” (v. 30b). Affinché: “Chi si vanta si vanti nel Signore” (v. 31). La maggior parte dei credenti di Corinto non apparteneva all’intellighenzia, alla nobiltà o all’aristocrazia, ma erano persone povere, semplici e spesso disprezzate dalla società (cfr. 7:21). Il fatto che il vangelo raggiungesse queste persone era un altro sconvolgente esempio della potenza di Dio nella debolezza umana che avrebbe dovuto parlare ai sapienti di Corinto. E invece non colsero questo messaggio paradossale, ma fondamentale.  

Ovviamente il Vangelo dev’essere ed è predicato a ogni genere di persone, ma ognuno deve riconoscere la propria debolezza, la propria indegnità per essere toccato dalla grazia, e come diceva Gesù: “Il regno di Dio appartiene ai bambini. Se dunque gli adulti vogliono entrare nel regno di Dio devono diventare come bambini” (Marco 19:13). D’altronde le Beatitudini lo confermano: è solo chi si sente povero in spirito che potrà essere beato ed entrare nel regno di Dio. Cioè, solo chi si mette in discussione potrà godere delle benedizioni di Dio. Solo chi si sente indegno potrà essere perdonato. Solo chi si sente perduto potrà essere trovato da Dio. Lutero stesso affermava che solo il prigioniero potrà essere liberato. Solo il povero potrà essere arricchito. Solo il debole sarà reso forte. Solo chi è vuoto potrà essere riempito.

Infine

3. La potenza di Dio si manifesta nella debolezza della testimonianza.

Tutti gli uomini di Dio, riportati nelle Scritture, erano uomini fragili e precari. Questo era in contrasto con i sapienti della polis e i falsi predicatori che invece si ritenevano sicuri di sé e si gloriavano della loro saggezza, autorità e potere. La chiesa era influenzata dalla cultura greca, dove la forma era più importante della sostanza. I Corinzi avevano assimilato la cultura greca del tempo e valutavano il discorso di Paolo sulla base della forma e dell’oratoria, ma Paolo, anche in questo caso, aveva deciso di predicare “non con sapienza umana” (v. 17) e “non con eccellenza di parola e di sapienza” (2:1), ma di “predicare Cristo”. Decise, cioè di non sapere altro, “fuorché Gesù Cristo crocifisso, e Lui solo” (v. 2). Invece della retorica andò a Corinto “con debolezza, timore e tremore” (v. 3), per assistere alla manifestazione dello Spirito e della potenza di Dio che facesse emergere la grandezza di Dio (v. 4), affinché la loro fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio (v. 5).  

Paolo non aveva paura di ammettere la sua inadeguatezza. Aveva un grande intelletto e una forte personalità (era cresciuto alla scuola di Gamaliele). Ma era fragile fisicamente (aveva questa spina nella carne) ed era vulnerabile dal punto di vista emotivo (poiché aveva a che fare come noi con gli alti e i bassi delle emozioni). Per giunta non era neppure di bell’aspetto, anzi era piccolo e bruttellino, era calvo. Questi difetti avrebbero potuto indebolire il suo messaggio e impedirgli di essere ascoltato; invece, Paolo ricercò altrove la forza necessaria, e nella sua debolezza umana confidò nella grazia di Dio, nella dimostrazione dello Spirito e della sua potenza. Affinché lo Spirito Santo prendesse le parole pronunciate nella debolezza umana e le portasse con potenza a segno in coloro che ascoltavano in modo che potessero comprendere e credere.

Questo non vuol dire che dobbiamo sopprimere la nostra personalità o rinunciare al nostro impegno nello studio, ma dobbiamo riconoscere che “solo la potenza di Dio può ridare la vita agli uomini, la vista ai ciechi e la salvezza ai perduti”. Poiché “l’uomo naturale non può ricevere le cose spirituali perché sono per lui pazzia”. Non si può giungere alla salvezza attraverso la persuasione umana, poiché “il vangelo è la potenza di Dio capace di salvare coloro che credono in lui” (Romani 1:16). Ogni servo di Dio ha avuto delle fragilità. Pensiamo all’eccellenza dei sermoni di Spurgeon. Eppure, anche lui soffriva di depressione e a volte stava così male che si doveva aggrappare al pulpito durante i suoi sermoni. Per questo fu oggetto di calunnie, caricature che si beffavano di lui. Ma Spurgeon resistette affidandosi a Dio che lo sostenne con la sua potenza e rese potenti i suoi sermoni. Pensiamo a Paolo, a Mosè e a tutti gli altri.

La chiesa di Corinto aveva a che fare con persone diverse dalle nostre (Ebrei, Greci e pagani), ma le sfide rimangono le stesse. Come Paolo e i credenti di Corinto, siamo portatori di un messaggio debole (il Cristo crocifisso), proclamato da predicatori deboli (che sono tremanti e pieni di limiti), ricevuto da ascoltatori deboli (che sono disinteressati, deformati dalle loro idolatrie e perduti nei propri interessi). Eppure, Dio ha scelto uno strumento debole (come Paolo e noi), per portare un messaggio debole (quello della croce), a persone deboli. Ma è attraverso questa triplice debolezza che si manifesta la potenza di Dio nella nostra testimonianza.

Conclusione

Quindi fratelli non ci scoraggiamo davanti a un mondo che sembra forte ma non lo è. Manteniamo la linea e annunciamo il vangelo con coraggio e fierezza in tutta la sua interezza, e confidiamo nella potenza di colui che può rendere le nostre deboli parole potenti e capaci di cambiare i cuori delle persone intorno a noi. Preghiamo!     

  

 
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Rallegrati nel Signore (Filippesi 3:1-14)