Gesù ci invita a riconoscerlo (Marco 8:1-26)
Introduzione
Leggiamo insieme Marco 8:1-26
È sorprendente che dei discepoli che hanno vissuto a stretto contatto con Gesù, non capiscono quello che ha insegnato e non riconoscono ciò che lui ha compiuto. Infatti, vengono ripresi decisamente da Gesù che chiede: “Perché state a discutere del non avere del pane? Non riflettete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchie e non udite?” (v. 17).
Nella predicazione di oggi Gesù ci invita a riconoscerlo ① nella sua immensa compassione, ② nella sua completa sufficienza e ③ la nostra conclamata insufficienza.
Iniziamo in primo luogo a sottolineare che Gesù ci invita a
Nella sua immensa compassione.
Marco evidenzia l’immensa compassione e preoccupazione che Gesù prova per queste persone, che da tre giorni lo seguono senza aver mangiato nulla (v. 2), e si preoccupa perché, se li rimandasse a casa senza aver dato loro da mangiare, potrebbero svenire dalla fame (v. 3).
Marco ci parla pure dei discepoli che, anche davanti alla seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci provano la stessa ansia, come se non ricordassero nulla della moltiplicazione dei giorni prima (6:35-44).
La sensibilità di Gesù è confermata dal fatto che, non solo riconosce il bisogno di queste persone, ma addirittura si identifica con loro provando una grande empatia e compassione. Nella lingua greca “compassione” sottolinea un sentimento che ha a che fare con la profondità VISCERALE dell’anima, qualcosa che noi uomini non possiamo nemmeno immaginare, poiché la compassione di Gesù non è sentimentale ed emotiva come la nostra, ma è una compassione talmente PROFONDA che è impensabile paragonarla alla nostra. Nella compassione di Gesù c’è un’EMPATIA legata alla sua onniscienza che è talmente grande, che noi non potremo mai comprenderla e provarla nella sua intensità. Spesso quando pensiamo alla compassione di Gesù tendiamo a paragonarla alla nostra, perché quello è il nostro metro di misura, ma la compassione di Gesù non è per nulla paragonabile a quella umana, poiché in realtà è una compassione talmente profonda che possiamo solo ricevere e godere da lui, per provare a imitarla con il suo aiuto, come riporta Matteo 9:36 che afferma: “Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”.
La compassione viscerale e profonda che Gesù provava per le folle, per coloro che erano nel bisogno e per i suoi discepoli è la stessa che prova oggi per noi, poiché è la stessa compassione che ha fatto di noi “pecore smarrite” che Lui è venuto a cercare.
In secondo luogo, Gesù ci invita a
2. Nella sua totale sufficienza.
Di fronte alla sensibilità di Gesù, fa da contraltare la reazione dei discepoli, che sono in ansia perché non sanno come provvedere cibo per la folla affamata sulle colline (v. 4). Gesù davanti a quest’impasse interviene provvedendo e moltiplicando quel poco che offre la comunità in quel momento (pochi pani e pesci). Egli fa accomodare le persone e provvede loro il cibo necessario, dimostrando la sua autorità e la sua potenza nei confronti delle situazioni naturali e soprannaturali, poiché prende i sette pani (v. 6) e i pochi pesci, e dopo aver benedetto il Padre li distribuisce ai quattromila affamati (v. 7), e tutti sono saziati abbondantemente (vv. 8-9).
Questo è ciò che il Signore ha fatto in quell’occasione ed è ciò che è in grado di fare anche oggi, poiché Lui è capace di prendere un piccolo gruppo di persone diverse culturalmente, caratterialmente e socialmente per realizzare il suo progetto in questo mondo. Lo ha fatto nella storia del suo popolo, lo ha fatto nella storia della sua chiesa prendendo dodici uomini molto differenti tra loro come i discepoli che ha trasformato, formato e mandato nel mondo a proclamare il suo messaggio (Matteo 28:19). Questo è quello che Gesù fa anche oggi con noi, poiché anche se siamo pochi, fragili, stanchi, forse logorati e demotivati Gesù ci prende, ci rafforza e ci ravviva per servirlo come chiesa qui a Ferrara.
Anche oggi gli uomini hanno tante occasioni per riconoscere la compassione di Dio quando provvede ai loro bisogni, poiché abbiamo cibo a sufficienza e possiamo godere di tutte le cose che sono frutto della grazia. Abbiamo un clima che nonostante tutto ci permette di vivere e godere di giornate meravigliose come questa. Viviamo in pace nonostante ci siano centinaia di guerre nel mondo. Eppure, gli uomini che godono di queste cose non riconoscono l’autorità, la grandezza e la bontà di Dio, ma anzi, lo accusano e disprezzano quello che Lui continua a donare e a fare in favore di un mondo che non lo ri-conosce.
Infine, Gesù ci esorta a
3. Riconoscere la nostra insufficienza.
La soluzione all’incredulità dei farisei e dei discepoli sta proprio alla fine di questo brano, poiché hanno orecchie ma non sono in grado di ascoltare, hanno occhi ma non riescono a vedere, visto che non ricordano neanche quello che Gesù ha compiuto qualche giorno prima. C’è quindi bisogno che il Signore apra gli occhi a coloro che non vedono, infatti, aprendo gli occhi al cieco Gesù mostra la cecità nella quale gli uomini si trovano e il bisogno di essere guariti, affinché possano vedere. Ezechiele raffigura bene la natura umana quando dice che essa è ribelle, poiché ha occhi per vedere ma non vede, ha orecchie per udire ma non è in grado di ascoltare, proprio perché è ribelle (Ezechiele 12:2). La condizione di tutti gli uomini è questa, e c’è bisogno di una guarigione operata da Dio stesso, che apre gli occhi per riconoscere la persona e l’opera che Gesù Cristo è venuto a compiere per essere salvati.
Gesù dopo un cammino impegnativo giunge a Betsaida, prende da parte il cieco, lo conduce fuori dalla città e gli apre gli occhi affinché possa vedere (vv. 22-23). Gesù guarisce proprio quella persona a cui si avvicina, lo prende da parte e si cura di lui; verifica le condizioni e gli chiede cosa stava vedendo precisamente (v. 23b), a sottolineare che la guarigione è speciale, è particolare, è personale perché inaugura una relazione intima con Lui, come è avvenuto nella guarigione del sordomuto a cui Gesù apre le orecchie, affinché possa ascoltare le sue parole (Marco 7:33).
La salvezza può avvenire solo attraverso l’apertura dei nostri occhi affinché essi vedano, delle nostre orecchie affinché ascoltino, e della nostra lingua affinché annuncino la gloria di Dio. Senza l’opera di rigenerazione da parte dello Spirito Santo è impossibile essere salvati e ricevere la fede, e di conseguenza essere graditi a Dio (Ebrei 11:6).
Come ha fatto nella vita di questo cieco, Gesù deve fare nella vita di ogni uomo che ha bisogno di essere chiamato dalle tenebre alla luce, per entrare a far parte della “stirpe eletta, del sacerdozio regale, della gente santa”, del popolo che Dio si è acquistato, per proclamare le virtù di Gesù Cristo (1 Pietro 2:9), “colui che crea la fede e la rende perfetta” (Ebrei 12:2).
Conclusione
Questo è ciò che Gesù ha compiuto nella vita del cieco, nella nostra vita e che può compiere nella vita di chiunque. In un’epoca povera di conversioni come la nostra è molto consolante riaffermare la dottrina dell’elezione anche se questa non è sempre compresa, ma questa è la verità e questo brano ce lo conferma chiaramente! Solo per mezzo della grazia l’uomo può passare dalle tenebre alla luce, dalla confusione all’ordine, dalla morte alla vita, passare dalla propria insufficienza alla sufficienza e abbondanza di Dio ed essere salvato. Preghiamo!